Monte Gorzano

Dal Sacro Cuore di Capricchia, la via più diretta al Gorzano.

Un pò di fitto bosco e praterie sconfinate, lunghe creste e fossi profondi ai lati, pareti scoscese e sempre ampi orizzonti, fiori, tanti fiori ma mancava l'acqua, stazzi diruti e sempre ad aleggiare l'obra del sisma del 2016. Laghismo allo stato puro.


A Pietro, che quando partivamo per andare sulla Laga ci faceva sorridere e diceva: “la Laga, ah si, la conosco!”. Ci si era spaccato la schiena da quelle parti, ancora adolescente, nelle gallerie del lago di Campotosto… poi … coraggio, altruismo e voglia di lavorare, partito verso l’ignoto con una valigia di cartone, tornato vincitore, sempre rimasto uomo semplice e disponibile, con un sorriso per tutti… ciao Pietro!


Il monte Gorzano dal Sacro Cuore di Capricchia, sulla Laga la più classica delle classiche, salita fatta molti anni fa, più di dieci, anzi dodici per la precisione e mai più ripetuta; quella di oggi è stata una escursione fatta sull’onda dei ricordi e delle emozioni antiche, quando ogni montagna e ogni sentiero nuovo era un motivo per non dormire la notte precedente. E’ stata anche una nostalgica gara con me stesso a cercare di ricordare i punti salienti del percorso; la prima parte, in comune con altre escursioni verso la cascata delle Barche e verso le “randagiate” dentro il fosso di Selva Grande e dentro al fosso del Gorzano, mi riportava alla memoria angoli che ogni tanto mi sapevano di momenti vissuti; del tratto successivo, quello in comune con la salita al Pizzo di Moscio, immersa nel bosco come era, se non fossero stati gli scorci che ogni tanto si aprivano sulla dorsale dal Lepri al l Pizzo di Moscio non mi avrebbe ricordato nulla; quando il sentiero si è poi staccato verso il Gorzano era come ripercorrerlo per la prima volta, salendo subito fuori dal bosco un gioco di sentieri vecchi e nuovi intorno allo stazzo del Gorzano me lo ha fatto evitare, e ho confuso un altro vecchio rudere con lo stazzo stesso, ho pensato ai segni del tempo, non mi tornavano un sacco di cose però; la seconda parte della sentiero oltre lo stazzo, quello allo scoperto in cresta, non fosse per le tante somiglianze con tanti ambienti della Laga che nel frattempo ho avuto modo di conoscere, non mi ricordava quasi nulla, come non l’avessi mai percorso, è stata quasi una prima volta e col senno del poi sono stato contento che Marina abbia insistito per tornarci. La strada fino al Sacro Cuore è percorribile con una utilitaria, occorre fare solo attenzione alle tante e profonde buche che si incontrano per girargli intorno; arriviamo al parcheggio senza difficoltà. Ritrovarsi la sagoma del Lepri davanti è stato come essere catapultati indietro nel tempo, cercare la sagoma del Gorzano nell’orizzonte lasciato libero dalla valle Conca è venuto da sé, segno che qualche ricordo si stava facendo strada. Prendiamo la brecciata che abbiamo davanti che sono le 8.20, pochi metri e si entra nel bosco, qualche manciata di metri ancora e la si lascia salendo al primo incrocio sulla destra, una palina e nuove segnaletiche indicano la salita per la cascata delle Barche, per il Pizzo di Moscio e per il Gorzano. Una ripida ma breve salita lungo la quale si incrocia a sinistra la deviazione per la cascata delle Barche e il fosso di Selva Grande per arrivare ad una sella ariosa con stupendo affaccio sul Lepri (20 minuti dalla partenza); da qui un altro lungo traverso lento a salire e quasi pianeggiante per lunghi tratti fino all’incrocio (50 minuti dalla partenza) per il Pizzo di Moscio a sinistra, raggiungibile in tre ore, e monte Gorzano a destra in salita. Il sentiero prende a salire con più decisione, immerso sempre nel bosco, fino ad uscirne (1 ora e 40 min. dalla partenza) intorno a quota 1800m., nei pressi di uno splendido balcone con vista su cima Lepri, praticamente invaso da una selva di alti Aconiti gialli (Aconitum lycoctotum). Sono molto fitti e sempre evidenti i segnali lungo il percorso, impossibile lasciare il sentiero. Fuori dal bosco riprende per fortuna a spirare una leggera brezza che ci ridona vitalità, dopo la sosta ritorniamo sul sentiero che si inoltra nella prateria facendosi strada tra erba alta, genziane rigogliose e qualche ortica; pochi minuti ed un rudere, qualcosa più di un rudere a dire il vero, un ammasso di pietre sparpagliato a delineare un perimetro dal vago sentore di stazzo richiama quello del Gorzano, ma al di là dei dodici anni passati, della memoria che poteva fare cilecca e del rudere che poteva essere ancora più rudere, qualcosa non mi tornava, era ciò che rimaneva di uno stazzo ma per quanto labili quello che vedevo non somigliava a ciò che avevo nei ricordi. Scoprirò al ritorno che in effetti non si trattava del più famoso rudere dello stazzo del Gorzano, posto una cinquantina di metri più in alto, sopra lo sperone che avevamo alle spalle e che un sentiero più agile saltava al contrario degli anni passati che gli scorreva accanto. Seguiamo i segnali sulle poche pietre a terra ma soprattutto il sentiero molto marcato, ci allunghiamo con pochi strappi fino alla dorsale al limite del bosco, che virando repentinamente verso Ovest prende a salire molto ripida verso la cima del Gorzano che si vede già oltre un’anticima che ci sovrasta. Il sentiero, sempre evidente non sale la linea dello spigolo erboso, raggiunge il fosso della Conca ora molto ampio ed evidente e deviando sulla destra traversa la pagina erbosa salendo verso un’altra dorsale più alta che abbiamo davanti a destra, verso Sud. Con un lungo traverso raggiungiamo la linea di cresta (quota 2040m., 2 ore e 10 minuti dalla partenza) che si affaccia sul versante opposto, su pezzi del lago di Campotosto, sul profondo fosso di Ortanza e su quelli meno pronunciati ma selvaggi che si staccano sotto la cima della Cipollara, da qui una sottile propaggine che scende dalla Laghetta e che assottigliandosi si divide in una manciata di esili lame rocciose e altrettanti fossi. La cima del Gorzano e la dorsale della Laghetta sono ora il nostro orizzonte 400m. più in alto verso Ovest; con una serie di cambi di pendenza, prevalentemente in cresta e per pochi tratti traversando sotto, saliamo la dorsale, i profondi valloni, a sinistra quello di fosso Gorzano a destra quello del fosso dell’Ortanza distraggono non poco richiamando la nostra attenzione e curiosità. Stessa cosa per il profilo della Cipollara che scende dalla sella tra il Gorzano e la Laghetta, mi rimanda a ricordi antichi, alle cavalcate dei concatenamenti a caccia dei 2000m., bei tempi in cui era ancora normale sorprendersi. Nemmeno troppo lenti ci avviciniamo alla vetta, tra le nicchie delle arenarie scoperte oltre i 2100 m. si nascondono splendidi esemplari di Borracina gialla e bianca, di Raponzoli alpini, di Sempervivum; sugli scoscesi pendii estese fioriture di Trifoglio alpino e di Tarassaco sfumano in tonalità ora viola e ora gialle quelle ancora vigorose dei prati verdi. La fatica della salita ci è lieve, le soste per le fotografie ai fiori sono tante e tante quelle per vivere gli ampi orizzonti sull’altopiano di Amatrice che si estende fino al Terminillo e al monte Pozzoni, estremità Est di questo gruppo montuoso. Arriviamo in vetta 3 ore e 50 minuti dopo essere partiti, è da poco passato mezzogiorno, un numeroso gruppo di giovani che con passo veloce ci avevano superato a metà dorsale stanno serenamente bivaccando distesi sui prati di vetta al riparo dal vento, c’è posto per tutti, non è difficile sistemarci comodi con vista sulla Laghetta, sul Gran Sasso e sui monti Gemelli, peccato che nel frattempo il cielo si sia un po’ coperto, offuscato, e che la visibilità sia ridotta dalla tanta caligine, l’orizzonte oggi non arriva al mare. Rimaniamo in vetta più di mezz’ora, tra un momento per rifocillarsi e quello di socializzare il tempo è volato; ho cercato tutto intorno di focalizzare più dettagli possibili, l’ampia conca del fosso del Gorzano che divide il versante fino al Lepri, la dorsale che scende verso il Pelone e verso il Pizzo di Moscio, tutta la cresta fino al Lepri, la discesa per la Laghetta, il piccolo lago sulla sella, tutti dettagli che sembra di conoscere ma che poi diventano evanescenti una volta riscesi a terra. E’ il mio terzo Gorzano, è sempre come fosse la prima volta. Alle 12,45 circa riprendiamo la discesa, ovviamente per la stessa via di salita, un amico dice che in discesa ci vanno anche i cocomeri, diventa normale, forse obbligatorio, essere veloci; per variare un minimo il percorso dell’andata seguiamo integralmente la linea di cresta e in 50 minuti siamo già nei pressi dello stazzo del Gorzano, stazzo che scorgiamo solo quando siamo nelle sue vicinanze; un sentiero, anticipando la fine della dorsale, si stacca verso destra e si infila, sepolto da ortiche, dentro una valletta ed un piccolo altipiano dove sorgono i bei ruderi dello stazzo; la traccia gli passa accanto, a considerare la folta vegetazione di ortiche che l’ha invaso non è più molto usata, motivo per cui la mattina non l’abbiamo percorsa e ci siamo “sbagliati” di rudere. I resti dello stazzo sono più o meno quelli di tanti anni fa, il tempo è passato invano, una parete rimasta in piedi, una piccola finestra, uno sperone che sa di balcone più pronunciato rispetto a quello dove era appollaiato il rudere che abbiamo costeggiato la mattina, sono gli elementi che non mi tornavano familiari e che mancavano stamattina. Altra fondamentale e bellissima differenza rispetto a tanti anni fa, cui ho pensato in questo frangente, è quella di sapere dare un nome a quasi tutti i profili che mi circondavano; allora, quando iniziai ad andare in montagna, tutto l’ambiente che avevo intorno, era semplicemente un palinsesto, uno sfondo affascinante che contribuiva a formare il quadro che avevo davanti; oggi no, quelle rupi lì davanti avevano un nome, cima Lepri, quei fossi avevano un nome, formavano delle cascate, tutti ambienti che se non conoscevo avevo sfiorato; questa fondamentale differenza rispetto ai tempi in cui mossi i primi passi toglie forse oggi la forza alle emozioni, appiattisce le sorprese e lo stupore che ricordo provavo ad ogni passo, ma arricchisce la consapevolezza di conoscere un territorio e di sapercisi muovere dentro. Lo stazzo si trova più o meno a metà del percorso, una volta superato e sceso lo sperone su cui è appollaiato, in pochi minuti si raggiunge il limite del bosco, da qui in avanti, a parte qualche piccolo slargo, non ne usciremo più, il primo tratto un po’ più ripido con numerose svolte, poi lunghi traversi con leggeri sali e scendi e così fino alla macchina che raggiungiamo alle 15 circa del pomeriggio, 2 ore e 15 minuti è durata la discesa. Nelle mie antiche impressioni e nei ricordi questo di oggi era un percorso irto e impegnativo, oggi mi è sembrato molto più abbordabile di allora, ormai l’abitudine alla salita e alla fatica per arrivare ci si è stampata sulla pelle; sono comunque quasi sedici i chilometri percorsi e 1100m. il dislivello superato in 6 ore e 40 minuti. Oggi ho impresso finalmente questo percorso nella mia memoria, è forse il sentiero più diretto e più semplice per raggiungere il Gorzano, di certo non è il più bello, la scenografia del versante Est, i fossi ricchi di acqua, le cascate della valle delle Cento Fonti, la vista che da lì si gode sulla catena del Gran Sasso ha una bellezza impareggiabile, anzi, ora che ne parlo mi sta venendo voglia di tornarci da lì, magari non ora, la prossima primavera per trovare i fossi e le cascate gonfie, spumeggianti e ricche di acqua.